TAINO Immensa e misteriosa. Nascosta ed enigmatica. Proprio per questo attraente. E' la Polveriera di Taino. Chiusa il 25 novembre del 1972 conserva intatto, nonostante gli attacchi del tempo e dell’abbandono, tutto il suo fascino. Figlio della storia, costruita bossolo dopo bossolo, centimetro di miccia dopo centimetro. Bagnato nel sangue di 41 operai immolati sull’altare della produzione. Decorato nel cemento armato issato a protezione interna ed esterna. Impresso nella sua rete di cunicoli, un tempo inviolabili, ora tutti da esplorare. Un castello kafkiano dal richiamo irresistibile. E come ogni fortezza “aperta” ai curiosi, anche in questo caso, il ponte levatoio lo abbi
amo trovato abbassato. Ricavato in una fessura a lato dell’ingresso costruita piegando un sottile lamierino. Accucciarsi, passare ed entrare nel paradiso varesotto di ogni archeologo industriale è stato così quanto mai facile. All’interno superfici sconfinate preda ora della battaglia tra costruzioni umane e natura. Giocata in una ragnatela pressoché sconfinata posata su terrapieni e reticoli in cemento armato. Terrapieni realizzati per avvolgere ognuno degli oltre 150 edifici: tra reparti produttivi e strutture secondarie, e riparare, quelli attorno, da eventuali scoppi. Così come le finestre: vere e proprie inferiate a scomparsa in materiali met
allici. Tutto ora è sormontato dal verde, ma le volte artificiali, appaiono all’improvviso, tra un ramo e l’altro, mostrando tutta la loro magnificenza. L’aria è quasi irreale. In un silenzio totale che avvolge questi 650mila metri quadrati della località Campaccio. Una distesa immensa. Come 101 campi da calcio posati uno al fianco dell’altro. Nel silenzio totale. Silenzio che esige rispetto. Così, se nelle altre fabbriche abbandonate, vuote e pericolanti, l’azione degli intrusi, rappresenta un attacco veniale qui, ogni graffio impresso a bomboletta è un affronto alla storia. Scomparsa sotto l’edera rampicante eppur così viva. Con tutto il suo contorno di leggende e misteri. Con i pericoli da affrontare ogni giorno perché “la polveriera ci dà il pane”. E allora quei sentieri senza destinazion
e, larghi abbastanza da passarci in auto, sembrano ancora più sconfinati. Solo una certa geometria – terrapieno, stabilimento, volta e cunicolo – ci impedisce di perdere l’orientamento. Tra gli alberi tagliati e quelli che crescono imperiosi, tra la terra, il muschio sulle pareti, i soffitti crollati e veri e propri muraglioni di acciaio e cemento. Tra un torrione e una botola i conti si perdono e il buio in arrivo rende ancora più magica l’atmosfera. I passi arrancano alla ricerca di altri scorci. Tubi, cavi, lamiere e muraglioni da esplorare centimetro per centimetro. Con la fittissima rete di centinaia di chilometri di canaline utilizzate per portare il calore dalla centr
ale termica in ogni unità: una sorta di teleriscaldamento funzionale e innovativo. Immagini che si rincorrono una dopo l’altra in una dimensione unica nel panorama provinciale delle aree dismesse. Ormai è buio ma le sorprese non sono finite. All’uscita, infatti, ci aspetta una pattuglia dei carabinieri di Angera. La nostra torcia si spegne contro i fari dell’auto di servizio. E’ la prima volta che accade. Essere beccati in flagrante. Con un piede fuori e uno dentro il paradiso ancora tutto da scoprire. Ecco il ritorno alla realtà. Con il desiderio, sicuramente infantile, provato per la prima volta di volerci ritornare, costi quel che costi. Con la consapevolezza che qui, al contrario di ogni altro scheletro industriale abbandonato, tutto anche oggi ha un senso. Tanto che non sembra un azzardo sperare, solo per un secondo, che le cose rimangano così. Ancora per un po’.LA STORIA
Sudore, sangue e ricordi. Questa è la storia della Polveriera di Taino. Un viaggio che inizia nel 1914 quando apre in località Campaccio di Taino una fabbrica d
i esplosivi. I primi sentori di questa attività, capace di segnare profondamente la vita del paese, si ebbero però già nella primavera del 1908 quando l’ingegner Ottorino Magnani di Milano acquistò dei terreni al Campaccio. Ma il progetto viene sospeso per carenza di fondi. Senza però cadere nel vuoto. L’iniziativa viene, infatti, ripresa dalla società anonima Davey Bickford e Smith. La costruzione dei due primi depositi per gli esplosivi, uno al Campaccio e l’altra il lago alla cascina Tognoli, sotto la direzione del signor Felix Roulet-Morel di Neuchatel, terminano nel dicembre 1913 e l’anno dopo iniziano le prime assunzioni di operai, circa una sessantina. Negli anni successivi la fabbrica si estende: vengono edificati altri capannoni e i terrapieni di protezione. Nel 1935 la Polveriera, denominata società italiana Bickford, viene
inserita in una concentrazione di varie aziende produttrici di esplosivi assumendo il nome di SGEM (Società Generale Esplosivi e Munizioni). Nel 1943 assume la denominazione di Nobel-SGEM dopo un’altra fusione con la società S.A. Dinamite Nobel. In questi anni, durante la seconda guerra mondiale la Polveriera raggiunge la massima espansione: 150 reparti produttivi con circa 1800 persone occupate. Nel 1952 passa di mano acquisita dalla Montecatini e rimane parte di questo grande gruppo fino al 1969, anno in cui nasce la Montedison (unione Montecatini-Edison). La Polveriera cessa la propria attività il 25 novembre del 1972 dopo aver invocato tutto il peso del su
o tributo di sangue: alle ore 14,30 del 27 luglio 1935 il reparto imballaggio è scosso da una violenta esplosione e 35 lavoratori, di cui 16 tainesi, perdono la vita. Un incidente ancora vivo nella memoria del paese e ricordato all’ingresso del Centro dell’Olmo da una targa affissa nel 1998 sotto un bassorilievo raffigurante S.Barbara, protettrice degli artificieri, un tempo situato all’interno dello stabilimento. Al pesante bilancio della tragedia, si aggiungono poi negli anni successivi, le morti di altri quattro tainesi Carlo Mauri, investito in pieno dallo scoppio di una tramoggia il 2 aprile del 1937, di Marco Mira D’Ercole, morto con altri due colleghi, il 21 dicembre del 41, di Pierino Ghiringhelli deceduto il 15 maggio 1943 e di Rosa Brovelli,addetta al reparto inneschi e ultima vittima della Polveriera. 

1 commento:
Grazie ad Enrico Scaringi (Scaclic@tin.it) per le foto gentilmente concesse al blog!!
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