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sabato 10 gennaio 2009

Bombe su Gaza

SHDEROT Ventiquattro gradi, sole splendente e cielo terso. Un giorno perfetto. In sottofondo il rumore dell’artiglieria, ma “non c’è da preoccuparsi: questi sono in partenza”.
Bombe su Gaza.
Attorno a noi tante serrande abbassate, negozi chiusi e marciapiedi deserti. La gente, poca, è raccolta al tavolo di un bar del centro cittadino, alla fermata blindata dell’autobus, al negozio di alimentari. Ci avviciniamo per cercare indicazioni. Siamo alla caccia del centro culturale italiano. Perché sì, a Shderot, poche anime a un passo dall'inferno, c’è un centro culturale italiano con tanto di scuola di ballo. Ci aggiriamo con titubanti. Fermiamo due ragazzi. Facciamo la nostra richiesta e nel giro di pochi passi arriviamo a destinazione. Il centro culturale esiste. È costituito da diversi edifici, circondati da un parco. Una dimensione molto umana, piacevole.
Intanto ancora bombe piovono su Gaza.
Uno degli edifici è un cinema. Le locandine parlano di pellicole proiettate settimane fa. Le porte sono chiuse. Gli assembramenti sono vietati dall’autorità militare “fino a nuovo ordine”. Al cinema come al fast food, nelle scuole e in ogni posto che possa rappresentare un potenziale pericolo per i cittadini israeliani. Così la vita rallenta e si riduce al minimo essenziale. Abbandonata l’idea di trovare qualcuno nel centro culturale, qualcuno che avesse connessioni e relazioni con lo Stivale, abbiamo deciso di tornare al bar di prima, per mangiare un panino. Ma non prima di aver aiutato un tizio a spingere la sua vecchia berlina giapponese in panne. Al bar di prima un politico locale sorseggia una bevanda e parla alla telecamera: “Ho già dieci figli, ma se mi date un’altra donna ne faccio altrettanti per dare uomini all’esercito”. Ci traducono la frase e ci spiegano che è di destra e non parla della guerra che si sta consumando pochi chilometri di distanza: “sta solo facendo propaganda per le prossime elezioni”.
Le bombe cadono su Gaza e il sole splende alto su Shderot.
Nel nostro personalissimo viaggio all’inferno abbiamo incontrato due valide guide. Yossi e Yaur. Sono ebrei israeliani. Due persone in gamba, che non hanno perso la voglia di sorridere e di osservare la realtà in maniera critica. Senza abbandonarsi a partigianerie di sorta. Sono loro che ci portano con il fuoristrada fino a un tiro di schioppo dal muro che separa la Striscia di Gaza da Israele. Abbandoniamo la strada maestra per guadagnare metri preziosi verso l’inferno. Pochi passi su una collina naturale. Il teleobbiettivo della macchina fotografica puntato su Gaza City. Sopra ai palazzi si levano alte inquietanti colonne di fumo, il tempo viene scandito dal rumore della deflagrazione dei colpi d’artiglieria, l’odore della terra si mischia a quello della polvere da sparo. Bombe su Gaza. Sotto di noi c’è una postazione logistica dell’esercito. Passano alcuni secondi, forse un minuto e arrivano a farci visita due soldati a bordo di una jeep. Fucile spianato e domande secche. “Che ci fate qui? Ah, siete giornalisti italiani… qui non si può stare. Vogliamo vedere il vostro tesserino. Questa è una zona pericolosa, siamo a tiro di mortaio. Questa è zona militare, dovete andare oltre la statale. Subito”. Momenti di apprensione. Quando già stiamo tornando indietro arrivano anche due auto della polizia di confine. Gli agenti sono poco più che ragazzini. Obbediamo agli ordini e tiriamo un sospiro di sollievo. Lasciato il nostro avamposto riprendiamo a percorrere la statale 232 mentre le bombe continuano a cadere su Gaza.

2 commenti:

Cartolinevaresine ha detto...

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Cartolinevaresine ha detto...

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