
VARESE Il 25 novembre del 2005 le luci soffuse dei night varesini venivano squarciate dal blu elettrico dei lampeggianti della polizia. I locali sigillati, i gestori arrestati. Oggi le stesse luci soffuse degli stessi night di Varese continuano ad accendersi e spegnersi nella danza rituale dell’amore esplicito, a pagamento. Non è cambiato niente. Così definire la città Giardino piccolo “Eden” del sesso condito da euro e spumante, anche oggi, non è un azzardo. È solo l’andata e ritorno di un viaggio. Un noir sfumato biancorosso dove tutto è talmente evidente da sembrare irreale. Provare per credere.
IL DESIREÉ
Ore 22.30. Attraversiamo il dedalo di scale e corridoi e raggiungiamo il cuore del Desireé. L’ex Cantina delle Rose ci accoglie come prima. Una donna che ha fatto i suoi anni si gode gli incassi da dietro il bancone mentre le ragazze lavorano per lei. Svestite a dovere. Giusto il tempo di sederci e siamo loro prede. Devono sedurci per farci ordinare il più possibile. Sono in due ma non fanno sesso a pagamento. Questo, almeno, è quello che dicono. Basta una qualsiasi occhiata agli altri tavoli per capire, però, che il “palpeggiamento intimo” è una pratica normale. Questo perché “ognuno ha il suo prezzo”. Lo ripetono in continuazione le nostre due “starlette decadute”. Lombarde, 31 e 35 anni, di volta in volta ragazze immagine, spogliarelliste, dame di compagnia per soli uomini. Tutto è teoricamente alla portata. L’unico problema sono i soldi. Probabilmente, pensano, non ne abbiamo abbastanza. Spesi i nostri primi 100 euro, per due birre in bottiglia e quattro calici di acqua tonica, decidiamo di uscire. “Se volete fare sesso per meno dovete andare in Svizzera”. Invece no. Perché la “Svizzera” è a pochi passi da noi. Lungo la strada che corre parallela alle ferrovie Nord, in via Tonale 31.
AL COPACABANA
È qui il Copacabana. Uno tra i tanti night redivivi. Un piano bar dove la parola discrezione non esiste. Lascia spazio alla complicità dei gestori, alle informazioni senza giri di parole, e a una serie di ragazze in deshabillè, disponibili come non mai, purché “giustamente” retribuite. Dietro il bancone dell’ex Lady G un cingalese sorride. Stempera la nostra timidezza e ci invita a non avere inibizioni. A dargli man forte ci pensano immediatamente le “sue squillo”. Svestite e seducenti. Puntano tutto sulla carica erotica e abboccano. Ci scambiano per clienti normali. Come i proprietari e i camerieri. A tradirli è l’avidità: un altro giro, altri soldi. Per i gestori e per le ragazze. Ordiniamo prima al bancone, per guardarci intorno, sondare il movimento. Poi le nostre nuove amiche, venezuelana una e marocchina l’altra, ci invitano nell’ala “privè”. “Qui possiamo stare in pace, chiacchierare, e fare altro”. Altro? “Tutto quello che vuoi”. Per raggiungere il divano dei desideri serve però il passepartout. Nient’altro che una bottiglia di spumante. Cento euro da scucire. Ma siamo in due e il “consiglio” arriva puntuale: “molto meglio una bottiglia a testa”. Così ognuno, per un’ora, ha il suo divanetto, al riparo da occhi indiscreti. Tranne quelli dei camerieri consapevoli – parola delle ragazze – di tutto quello che accade. Per passare dalle parole ai fatti, comunque, serve ancora altro contante. Lo chiedono insistenti, e per vincere le nostre remore, non esitano a stuzzicarci. Slacciarci i pantaloni diventa per quelle mani abili un gioco da ragazze. Ma se vuoi andare avanti i soldi sono obbligatori. Non servono le nostre scuse: qui c’è gente, meglio fuori. “Dai, funziona così. C’è una luce sul tavolo, io la spengo e quelli del locale ci lasciano in pace”. Per ora continuano a guardare il divanetto. Noi siamo tutt'altro che presentabili ormai con i boxer in bella vista ma evidentemente per loro, il bianco di capelli e la ragazza dell'est, questo è perfettamente normale. Spariscono però, come annunciato, appena le luci si offuscano. L’ora passa in fretta, tra confidenze e complimenti, sinceri quanto ben remunerati. Sono le 2 meno 10, dobbiamo uscire. Per restare occorre bere ancora. Saldiamo il credito: 220 euro, 110 a testa. E all’esterno, con il freddo pungente della notte varesina, respiriamo una boccata d’aria fresca.
AL MANILA
Le due del mattino sono passate da qualche minuto. Ma il viaggio continua al Manila di viale Borri. Un altro “club” a luci rosse. Solite facce, soliti sguardi. Ci sediamo al banco e ordiniamo due drink. Anche qui le ragazze non mancano. I soldi nel portafoglio invece scarseggiano. Possiamo solo chiacchierare. Siamo espliciti e diretti. Chiediamo di fare “qualcosa” nel locale. Lo facciamo al banco, platealmente, per farci sentire da tutti. Nessuno stupore. Lei ci sa fare. Coordina le altre con il polso della situazione, con le sue regole. “Prima ci offrite qualcosa, poi si può parlare”. Intanto avverte: “Niente rapporti all’interno del locale”. Senza troppa convinzione. Sintomo piuttosto evidente che anche su questo fronte ci sono degli spiragli. E farlo fuori con te? “Certo che si può”. Ma per attraversare la strada anche in questo caso bisogna pagare il pedaggio. È categorica la nostra guida. “Prima dovete ordinare: le bottiglie di spumante partono da 130 euro; ci sediamo, facciamo quattro chiacchiere e poi si vede”. Cerchiamo allora di by-passare la formalità del prosecco per arrivare subito al sodo. Nulla da fare. “Non è corretto nei confronti del locale. Noi lavoriamo qui, non possiamo andare con i clienti se prima non abbiamo bevuto qualcosa. È la regola”. Quindi i gestori sanno. È chiaro. Respingiamo altre due o tre ragazze, paghiamo il conto (20 euro) e lasciamo il Manila. Non prima però di aver notato la meticolosa precisione da ragioniere che la barista dedica alla registrazione degli importi delle consumazioni. Ogni nome una cifra. Su un grosso quaderno a quadretti, preambolo cartaceo al sesso reale. Un quaderno appoggiato al bancone di un locale che, come altri, dovrebbe essere sparito per sempre dalle pagine bianche.
[LA PROVINCIA DI VARESE 24 novembre 2007]
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