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venerdì 2 maggio 2008

Il teknival dell’ipocrisia

Basta ipocrisie. E’ il naturale commento alla fuga dei raver da internet. Non di tutti, solo di quelli italiani. Sono loro che hanno deciso di nascondersi. Per protesta, dicono. Per paura lo interpretiamo noi. Paura di dover fare i conti con il passo fatto più lungo della gamba. Con i party clandestini inanellati uno dopo l’altro. Con un’overdose letale che a qualcuno evidentemente pesa sulla coscienza. Perché l’occasione, è chiaro, rende l’uomo ladro ma in questo caso a pagare per tutti è stato un ragazzo di 19 anni. Ucciso proprio dalle droghe sintetiche che sono probabilmente l’unico business, insieme agli altri stupefacenti, in grado di sostenere e rendere proficua l’organizzazione di questi eventi. Improvvisati, certo, illegali, è ovvio, ma comunque costosi. Perché smuovere casse e apparecchiature, la gran parte delle quali di ultima generazione, ha il suo prezzo. E c’è più di un sospetto che a coprirli sia solo lo spaccio. Con il ritorno in arrivo dagli acidi venduti come Coca Cola. Ma ora il giocattolo si è rotto. Troppo pesante una morte, per di più in campagna elettorale con partiti pronti a cavalcare l’onda della repressione, per fingere che nulla sia cambiato. Meglio rientrare nell’ombra. Almeno per ora. Così dopo Shockraver, il primo sito a calare le braghe, anche altre piattaforme online e forum vicini al movimento raver hanno oscurato tutte le informazioni sui party italiani. Una reazione seguita alla eccessiva attenzione mediatica e alla demonizzazione del movimento che hanno caratterizzato le ore immediatamente successive ai fatti di Segrate, dove ha perso la vita il giovane Mattia Lo Castro. Adesso nessun party sarà individuabile, rintracciabile e propagandabile. Le maglie si sono strette attorno alla via di fuga del ritorno all’antico. Niente più flayer online, a portata di occhi indiscreti, niente più numeri di cellulare da consultare per arrivare alla meta. I party illegali rientrano nel circuito ristretto degli iniziati, che ne davano notizia al loro giro di amici e, al massimo, agli amici degli amici. Ma così, è ovvio, almeno nell’immediato a risentirne sarà proprio la loro attrattività. Probabilmente le feste non attireranno più migliaia di persone e per qualche tempo fenomeni come Cairate e Vedano non saranno che un ricordo. Del resto anche gli ultimi due Tecknival improvvisati di Castellanza e Segrate sono stati un mezzo flop. Mille persone al massimo con tante dosi di droga rimaste invendute e gli spacciatori costretti a rincorrere clienti. Perché, evidentemente, dopo il record di pubblico delle uscite precedenti si è pensato di poter replicare facilmente i successi. Ma troppi eventi ravvicinati, perlopiù a cavallo del Basso Varesotto e dell’Alto Milanese, hanno finito per inflazione l’idea stessa del rave. Non più grande evento unico ma quasi routine del fine settimana. Ora, invece, con la scelta del ritorno all’antico tutto torna alle origini. Quelle del movimento underground. C'è da chiedersi, però, quanto questo tipo di eventi possa fare a meno della massa. Meno indicazioni portano meno pubblico, e meno gente si traduce in meno droga e quindi pochi affari. Come nei trasgressivi Anni Ottanta quando in Germania e Gran Bretagna si organizzavano i primi rave party. Allora bastava un giro di telefonate. Oggi per richiamare migliaia di giovani come a Pasqua in un deposito abbandonato delle ferrovie a Segrate, capannoni che sembrano fatti apposta per la musica a palla, la chiave è e sarà la rete e i siti giusti. Ma dal ‘99 in Italia sono morti in quattro, un paio per overdose, uno per un incidente e uno per un trauma cranico provocato non si sa da cosa. Danni per milioni di euro, centinaia i fermati e i denunciati. Gli ultimi, dalla procura di Varese, giusto la settimana prima di Pasqua: 114 denunciati per invasione di terreni aggravata per un rave tenuto due anni fa sul lago Maggiore. L’aria è cambiata quindi. Così non bastano più il nastro isolante sulle targhe delle automobili e i cappucci delle felpe perennemente alzati sul volto a ripararsi dalle conseguenze legali. E i raver ci hanno messo del loro. Come spesso accade ai propositi radicalmente alternativi, anche i mega raduni hanno finito per imboccare la strada dell’omologazione. Con la ricerca ossessiva di uno sballo artificiale e la ricerca dopata di uno spirito sciamanico. Da fuga dalla non moda a moda: con vestiti venduti ad hoc, cappellini, pasticche e cd. Ora l’estremo tentativo di salvare faccia e, probabilmente introiti: il silenzio. Porte aperte solo al passaparola. Dettami che risuonano al pari della propaganda della tolleranza zero. Invito che stride con la semplice logica delle responsabilità pubbliche e private nella dismissione. Con aree abbandonate a se stesse, all’invasione. Perché riqualificare e bonificare non conviene. Meglio costruire ex novo. Così se dei rave risponderanno i raver, dell’abbandono urbanistico nessuno sarà mai chiamato ad assumersi le proprie responsabilità. E tra un po’, non appena le acque si saranno calmate, tutto tornerà come prima. Con gli avvisi in internet, la droga libera, i ragazzi collassati a terra e le targhe delle auto scocciate.
Basta ipocrisie.

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