BESOZZO 180 lavoratori licenziati dalla sera alla mattina. 180 persone che non hanno nessuna intenzione di arrendersi. A costo di restare asserragliati ad oltranza all’interno della cartiera Munksjo di Besozzo.
LA FABBRICA OCCUPATA
Già sette i giorni di occupazione per gli operai decisi a far valere le loro ragioni fini in fondo. “Perché in gioco non ci sono solo il futuro delle loro famiglie e la dignità del lavoro costruita giorno dopo giorno qui – spiegano - c’è da difendere una storia produttiva lunga 340 anni”. “Besozzo è la cartiera e la cartiera è Besozzo” è così uno degli slogan scanditi a ripetizione, tra un bicchiere di vino, una birretta e le patatine a tappare lo stomaco. Sui tavoli della Rsu documenti e volantini parlano del loro dramma mentre gli striscioni all’esterno annunciano l’occupazione. Dentro, una cattedrale dimenticata con gli ultimi cavalieri rimasti a proteggerla. Questa l’aria di “Fort Besozzo” come in paese hanno ribattezzato il presidio. Potere agli operai, dunque, anche se nessuno ha voglia di festeggiare questa rivoluzione simbolica. La testa corre allo stipendio perso e il mutuo da pagare. “Qui – raccontano – ci sono almeno 120 di noi che ogni mese devono fare i conti con le banche”. Preoccupazioni che però non fiaccano la resistenza coraggiosa di questi operai. Tra una battuta e uno scherzo, con gli occhi lucidi per le lacrime da trattenere nonostante tutto.
RABBIA E DOLORE
“La Munksjo si è presa gioco di noi. Vogliono smantellare la cartiera e lasciarci con un pugno di mosche in mano”. Via allora con la lenta discesa della bandiera dell’azienda svedese dal pennone. Questo, con i vertici della società lontani, assenti e silenziosi, è diventato il simbolo della lotta. Da bruciare sul selciato dell’ingresso. Da sostituire con goliardia con quella dell’Inter. “Perché almeno loro lo scudetto lo hanno vinto”. Così si passa il tempo arroccati nell’attesa di uno spiraglio lontano dall’arrivare. Dopo la notizia del licenziamento dello scorso mercoledì ricevuta nella sede dell’Univa i dipendenti della cartiera besozzese, non hanno più avuto notizie. Fino alle scorse ore. “Aspettavamo almeno la notifica – raccontano dalla fabbrica -, ed è arrivata martedì sera. Hanno aperto la vertenza, noi restiamo qui sperando che possa succedere qualcosa e che decidano di trattare”. Ci sono tutti i giovani ragazzi e i vecchi della fabbrica, come “il Peron” che qui è di famiglia. “Ci hanno lavorato – ricordano – i suoi genitori e i suoi nonni”. E poi Paolo, che di cognome fa Carta, “e allora è davvero una doppia beffa”. Lui è diventato la guida nei tesori della cartiera. Macchine milionarie dalla tecnologia modernissima.
DIFENDIAMO I MACCHINARI ASPETTANDO BOSSI
Come quella che produce il masking (la carta crespata). “Ci sono voluti 6 mesi di test e prove. Abbiamo speso sudore e fatica e ora – attacca - ci dicono bravi, adesso portiamo baracca e burattini in Svezia dove costa meno produrre”. La accarezza con le sue mani grandi, annusa le materie prime, da centinaia di migliaia di euro al bancale. “Qui ce ne sono tre magazzini pieni – sottolinea – questa è la sola forza che abbiamo per trattare. Anche se in Svezia nessuno sente la nostra voce non possiamo arrenderci”. Così, dopo essere stati messi in sicurezza i reparti produttivi sono guardati a vista. “Evitarne lo smantellamento – chiarisce Claudio Cauzzo segretario provinciale dell’Slc-Cgil - è la madre di tutte le battaglie”. Unica merce di scambio per una corsia preferenziale verso gli ammortizzatori sociali. “Obbligati” vista la gravità della situazione. E queste parole, ieri, le hanno scritte anche al ministro Umberto Bossi. “Vieni a trovarci – si legge sull’invito - potremo fare due chiacchiere e offrirle un bicchiere di buon vino. Abbiamo bisogno di atti concreti”.
LA FABBRICA OCCUPATA
Già sette i giorni di occupazione per gli operai decisi a far valere le loro ragioni fini in fondo. “Perché in gioco non ci sono solo il futuro delle loro famiglie e la dignità del lavoro costruita giorno dopo giorno qui – spiegano - c’è da difendere una storia produttiva lunga 340 anni”. “Besozzo è la cartiera e la cartiera è Besozzo” è così uno degli slogan scanditi a ripetizione, tra un bicchiere di vino, una birretta e le patatine a tappare lo stomaco. Sui tavoli della Rsu documenti e volantini parlano del loro dramma mentre gli striscioni all’esterno annunciano l’occupazione. Dentro, una cattedrale dimenticata con gli ultimi cavalieri rimasti a proteggerla. Questa l’aria di “Fort Besozzo” come in paese hanno ribattezzato il presidio. Potere agli operai, dunque, anche se nessuno ha voglia di festeggiare questa rivoluzione simbolica. La testa corre allo stipendio perso e il mutuo da pagare. “Qui – raccontano – ci sono almeno 120 di noi che ogni mese devono fare i conti con le banche”. Preoccupazioni che però non fiaccano la resistenza coraggiosa di questi operai. Tra una battuta e uno scherzo, con gli occhi lucidi per le lacrime da trattenere nonostante tutto.
RABBIA E DOLORE
“La Munksjo si è presa gioco di noi. Vogliono smantellare la cartiera e lasciarci con un pugno di mosche in mano”. Via allora con la lenta discesa della bandiera dell’azienda svedese dal pennone. Questo, con i vertici della società lontani, assenti e silenziosi, è diventato il simbolo della lotta. Da bruciare sul selciato dell’ingresso. Da sostituire con goliardia con quella dell’Inter. “Perché almeno loro lo scudetto lo hanno vinto”. Così si passa il tempo arroccati nell’attesa di uno spiraglio lontano dall’arrivare. Dopo la notizia del licenziamento dello scorso mercoledì ricevuta nella sede dell’Univa i dipendenti della cartiera besozzese, non hanno più avuto notizie. Fino alle scorse ore. “Aspettavamo almeno la notifica – raccontano dalla fabbrica -, ed è arrivata martedì sera. Hanno aperto la vertenza, noi restiamo qui sperando che possa succedere qualcosa e che decidano di trattare”. Ci sono tutti i giovani ragazzi e i vecchi della fabbrica, come “il Peron” che qui è di famiglia. “Ci hanno lavorato – ricordano – i suoi genitori e i suoi nonni”. E poi Paolo, che di cognome fa Carta, “e allora è davvero una doppia beffa”. Lui è diventato la guida nei tesori della cartiera. Macchine milionarie dalla tecnologia modernissima.
DIFENDIAMO I MACCHINARI ASPETTANDO BOSSI
Come quella che produce il masking (la carta crespata). “Ci sono voluti 6 mesi di test e prove. Abbiamo speso sudore e fatica e ora – attacca - ci dicono bravi, adesso portiamo baracca e burattini in Svezia dove costa meno produrre”. La accarezza con le sue mani grandi, annusa le materie prime, da centinaia di migliaia di euro al bancale. “Qui ce ne sono tre magazzini pieni – sottolinea – questa è la sola forza che abbiamo per trattare. Anche se in Svezia nessuno sente la nostra voce non possiamo arrenderci”. Così, dopo essere stati messi in sicurezza i reparti produttivi sono guardati a vista. “Evitarne lo smantellamento – chiarisce Claudio Cauzzo segretario provinciale dell’Slc-Cgil - è la madre di tutte le battaglie”. Unica merce di scambio per una corsia preferenziale verso gli ammortizzatori sociali. “Obbligati” vista la gravità della situazione. E queste parole, ieri, le hanno scritte anche al ministro Umberto Bossi. “Vieni a trovarci – si legge sull’invito - potremo fare due chiacchiere e offrirle un bicchiere di buon vino. Abbiamo bisogno di atti concreti”.
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