VEDANO OLONA 72 ore ininterrotte a 180 battiti al minuto. Quasi 6 mila persone nelle ore di picco, più di 10 mila quelle che si sono alternate nei tre giorni di festa. È l’happy new year party, il rave di capodanno ancora in scena nella ex cartiera del Ponte di Vedano. Noi ci siamo entrati. Di giorno e nel cuore della notte.
Il frastuono delle casse pompate al massimo riempie la testa. Quasi ti avvolge e ti piega. Le luci stroboscopiche spezzano l’oscurità e proiettano le ombre sulle superfici decadenti della fabbrica, stampando le istantanee dei mille volti assenti del popolo dei raver. Nell’aria odori strani. Polvere. Tabacco. Gasolio. Hascisc. Petrolio. Legna. Plastica. Tutto si mescola. Tutto si trasforma. Luci, suoni e colori, elementi di un universo parallelo, dove i confini dell’illecito cambiano e la massa dei raver ridisegna la mappa del possibile.
Così la valle Olona, sfregiata dall’abbandono dei suoi capannoni, immersa in un dedalo di non luoghi, abbandona la sua apparente immobilità. Ed ecco che il fenomeno si ripete ancora. A pochi mesi di distanza dall’ultimo grande evento di Cairate, la valle del silenzio inizia nuovamente a tremare sotto il peso dei bassi, di suoni elettronici e industriali, espansi e concentrati, rettilinei e frammentati. Sullo sfondo, lunghi camion e vecchi tir iniziano a scaricare muri di casse, impalcature, teli, mixer, piatti, luci. Le indicazioni della piantina conducono a Vedano, i messaggini dei cellulari confermano. L’obiettivo della rivolta techno è la cartiera dismessa. Attorno alle due di notte dell’ultimo giorno dell’anno, è un vecchio camion militare con tanto di verricello a scardinare cancello e sbarre. “Il rave ha inizio”. Tra i capannoni di un glorioso passato produttivo si scaricano così amplificatori e mixer. Si piantano le tende. Si mangia, si beve, ci si droga senza interruzione. Così tutto acquista apparentemente un senso in un labirinto di capannoni smantellati. Tra i vetri e le polveri, ci si scalda con i copertoni bruciati. E l’atmosfera così diviene a tratti irrespirabile. Freddo estremo, sballo infinito. Queste le parole d’ordine. È molto facile perdere l'orientamento. Almeno sette, otto sound diversi, disposti a ridosso di vecchi furgoni francesi da trasloco, tipici bus inglesi da viaggio, camion militari tedeschi e moderni tir da trasporto merci. Prendono corpo così i set, più o meno chiusi, ognuno dei quali compone un ambiente sonoro autosufficiente. Ogni sound ha i suoi simboli - tra gli ideogrammi e i segni tribali - tracciati però con i colori fosforescenti della cultura techno. I camion vendono bibite, energy drink, magliette, nastri autoprodotti. Gli spacciatori, fumo, ecstasy, trip, speed, ketamina, md e strisce infinite di cocaina. Da tirare sulle custodie dei cd, con le banconote arrotolate. Mentre il frastuono informe ti colpisce timpani e stomaco. E l’aria di polvere, fuochi e plastica bruciata si diffonde.
Fuori il mondo diviso tra curiosi e infastiditi non trova risposte. Gli amministratori comunali si preoccupano, la gente domanda, i benpensanti rumoreggiano e le forze dell’ordine sorvegliano. Le macchine e i camion sono posteggiati in ogni dove. Le strade che circondano l’area sono intasate, si passa a fatica. A 180 battiti al minuto il tempo passa veloce. Quando il termometro segna meno otto gradi e il primo sole del 2008 illumina la valle, i frequentatori occasionali lasciano il Ponte di Vedano. Sono soprattutto varesini, ticinesi, comaschi e milanesi, mentre tra gli oltranzisti c'è chi si gode il primo sole del mattino, chi si rannicchia in tenda, chi si concede una passeggiata lungo il fiume, chi si cerca un anfratto per rubare un po’ di intimità. Alcuni giocolieri si esibiscono lanciando palle e birilli, mentre tutto intorno le casse continuano a pulsare e i raver a ballare.
Andando via dal rave di Capodanno la sensazione per noi profani è così una sola e rimane appiccicata sulla pelle. Sembra di essere entrati in contatto con qualcosa di completamente nuovo: incredibilmente moderno e tecnologico ma allo stesso tempo atavico, pre occidentale. Una specie di carovana tzigana che gira suonando una nenia che racconta di altri mondi, che forse esistono o forse no.
Il frastuono delle casse pompate al massimo riempie la testa. Quasi ti avvolge e ti piega. Le luci stroboscopiche spezzano l’oscurità e proiettano le ombre sulle superfici decadenti della fabbrica, stampando le istantanee dei mille volti assenti del popolo dei raver. Nell’aria odori strani. Polvere. Tabacco. Gasolio. Hascisc. Petrolio. Legna. Plastica. Tutto si mescola. Tutto si trasforma. Luci, suoni e colori, elementi di un universo parallelo, dove i confini dell’illecito cambiano e la massa dei raver ridisegna la mappa del possibile.
Così la valle Olona, sfregiata dall’abbandono dei suoi capannoni, immersa in un dedalo di non luoghi, abbandona la sua apparente immobilità. Ed ecco che il fenomeno si ripete ancora. A pochi mesi di distanza dall’ultimo grande evento di Cairate, la valle del silenzio inizia nuovamente a tremare sotto il peso dei bassi, di suoni elettronici e industriali, espansi e concentrati, rettilinei e frammentati. Sullo sfondo, lunghi camion e vecchi tir iniziano a scaricare muri di casse, impalcature, teli, mixer, piatti, luci. Le indicazioni della piantina conducono a Vedano, i messaggini dei cellulari confermano. L’obiettivo della rivolta techno è la cartiera dismessa. Attorno alle due di notte dell’ultimo giorno dell’anno, è un vecchio camion militare con tanto di verricello a scardinare cancello e sbarre. “Il rave ha inizio”. Tra i capannoni di un glorioso passato produttivo si scaricano così amplificatori e mixer. Si piantano le tende. Si mangia, si beve, ci si droga senza interruzione. Così tutto acquista apparentemente un senso in un labirinto di capannoni smantellati. Tra i vetri e le polveri, ci si scalda con i copertoni bruciati. E l’atmosfera così diviene a tratti irrespirabile. Freddo estremo, sballo infinito. Queste le parole d’ordine. È molto facile perdere l'orientamento. Almeno sette, otto sound diversi, disposti a ridosso di vecchi furgoni francesi da trasloco, tipici bus inglesi da viaggio, camion militari tedeschi e moderni tir da trasporto merci. Prendono corpo così i set, più o meno chiusi, ognuno dei quali compone un ambiente sonoro autosufficiente. Ogni sound ha i suoi simboli - tra gli ideogrammi e i segni tribali - tracciati però con i colori fosforescenti della cultura techno. I camion vendono bibite, energy drink, magliette, nastri autoprodotti. Gli spacciatori, fumo, ecstasy, trip, speed, ketamina, md e strisce infinite di cocaina. Da tirare sulle custodie dei cd, con le banconote arrotolate. Mentre il frastuono informe ti colpisce timpani e stomaco. E l’aria di polvere, fuochi e plastica bruciata si diffonde.
Fuori il mondo diviso tra curiosi e infastiditi non trova risposte. Gli amministratori comunali si preoccupano, la gente domanda, i benpensanti rumoreggiano e le forze dell’ordine sorvegliano. Le macchine e i camion sono posteggiati in ogni dove. Le strade che circondano l’area sono intasate, si passa a fatica. A 180 battiti al minuto il tempo passa veloce. Quando il termometro segna meno otto gradi e il primo sole del 2008 illumina la valle, i frequentatori occasionali lasciano il Ponte di Vedano. Sono soprattutto varesini, ticinesi, comaschi e milanesi, mentre tra gli oltranzisti c'è chi si gode il primo sole del mattino, chi si rannicchia in tenda, chi si concede una passeggiata lungo il fiume, chi si cerca un anfratto per rubare un po’ di intimità. Alcuni giocolieri si esibiscono lanciando palle e birilli, mentre tutto intorno le casse continuano a pulsare e i raver a ballare.
Andando via dal rave di Capodanno la sensazione per noi profani è così una sola e rimane appiccicata sulla pelle. Sembra di essere entrati in contatto con qualcosa di completamente nuovo: incredibilmente moderno e tecnologico ma allo stesso tempo atavico, pre occidentale. Una specie di carovana tzigana che gira suonando una nenia che racconta di altri mondi, che forse esistono o forse no.
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