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venerdì 2 maggio 2008
Le aree dismesse, rifugio degli autoesclusi
Un tempo erano parte integrante del sistema industriale varesino. Immense aree produttive disseminate lungo una valle, quella dell’Olona, che ha dato linfa all’economia del territorio durante il boom industriale e lavoro a centinaia di famiglie. Gli anni passano. Mutano le esigenze. E i tempi dei grandi insediamenti produttivi tutto ad un tratto sono stati scanditi da nuove parole d’ordine, come riconversione, delocalizzazione o cessazione. Così le grandi cartiere della Valle, una dopo l’altra hanno chiuso i battenti, lasciandosi alle spalle parecchie ferite, molte delle quali ancora da rimarginare. Quelle fabbriche che per anni sono state luogo vitale di un’economia vigorosa, ma anche frenetica e assordante, oggi sono abbandonate a loro stesse, svuotate di ogni significato. Dinosauri di cemento e mattoni. Migliaia di metri cubi di cocci e detriti di cui negli ultimi anni nessuno sembra essersi curato. Oggi, per la seconda volta nell’arco di pochi mesi, l’opinione pubblica torna invece ad occuparsene. D’improvviso i “fossili” dell’archeologia industriale della Valle Olona tornano al centro dell’attenzione e fanno parlare di sé. E via con le levate di scudi in nome della proprietà privata e della tutela dell’ambiente, diritti violati da un esercito votato unicamente allo sballo. E come nelle teorie da cattedrati sulla società postmoderna, anche le esperienze che abbiamo vissuto da vicino con i rave di Cairate e di Vedano Olona ci mettono di fronte ad una spaccatura. Da una parte chi ritiene naturale l’abbandono di ciò che non serve più. Dall’altra chi promuove, a suo modo, il recupero dello spazio a nuove funzioni. Uno spazio che, di fatto, oggi rappresenta un vuoto urbano, un rifiuto, che è stato eletto per alcuni giorni a rifugio di un popolo di autoesclusi. Gente che sceglie di vivere ai limiti del possibile, in bilico sul filo dell’eccesso, appropriandosi di luoghi dimenticati. Un’orda primitiva dalla condotta morale biasimata dalla collettività. Che ha però il merito involontario di puntare i fari su delle realtà dimenticate, spalancando le porte al dibattito sul futuro di questi luoghi. Insinuando nell’opinione pubblica un dubbio. Forse non è poi tanto sano lasciare che migliaia di metri quadrati di superficie industriale restino improduttivi, abbandonati, mentre altrove qualcuno sta già approvando l’edificazione di nuovi capannoni. Forse per bloccare i rave, basterebbe fermare il degrado.
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