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venerdì 2 maggio 2008

Una giornata a vendere mimose. Vi raccontiamo cosa c'è dietro

VARESE L’occasione, si sa, rende l’uomo imprenditore. E noi, 8 marzo festa della donna, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione. A testa bassa e mimose in mano ci siamo lanciati nel business della vendita dei fiori ai semafori di Varese. La missione inizia nel primo pomeriggio. Rapida sosta da un fiorista autorizzato per l’acquisto di dieci mazzetti del tipico fiore giallo, con tanto di pacchetto regalo. Investimento iniziale: 25 euro. Da qui è iniziata, in punta di piedi, la ricorsa al mercato floreale. Alle 14.30 siamo in strada ma, nostro malgrado, il mercato è inflazionatissimo e la concorrenza davvero agguerrita. Così, dopo aver scartato, uno dopo l’altro, gli incroci più trafficati e già occupati dai professionisti del settore, quasi tutti cingalesi, ripieghiamo su quello tra viale Europa e via Uberti. Qui, grazie anche all’aiuto dei photored installati dall’amministrazione comunale, troviamo comunque la nostra fetta di clienti. Allo scattare del rosso entriamo in servizio. Ogni auto un potenziale acquirente, ogni finestrino un’occasione di vendita. Passano però venti minuti prima di riuscire a concludere il primo affare: mazzetto ceduto senza ricarico a prezzo d’acquisto: 2,50 euro. Il tempo di rodare i meccanismi di approccio e riuscire ad intravedere i primi guadagni dura però troppo poco. Puntualmente arriva una pattuglia della polizia locale a metterci i bastoni tra le ruote. <>. Del resto la tolleranza zero annunciata da Palazzo Estense vede in noi due nemici pubblici da ostacolare in ogni modo. Peccato però che oggi, i nostri colleghi, si contino a decine. Sono piazzati strategicamente ad ogni incrocio principale della città di Varese e degli altri centri della provincia, compresi quelli minori. Non abbiamo scelta: dobbiamo abbandonare il campo e trovare un’altra piazza. Non è difficile: basta solo ripercorrere viale Europa a ritroso e addentrarsi verso il centro. In via Copelli infatti riusciamo nuovamente a mettere in piedi la nostra attività. Qui, ancora mimose alla mano, approfittiamo della decisa assenza di concorrenza per concludere gli affari migliori. L’uno dopo l’altro riusciamo a piazzare, ad un prezzo variabile tra i due e i quattro euro, cinque presenti floreali per un incasso totale di 15 euro. Con i due euro e cinquanta del primo incrocio, arriviamo a 17,50. Fare soldi non è semplice: ce ne rendiamo conto dopo una mezz’ora abbondante di slalom tra le auto ferme al semaforo. L’occasione è innegabilmente propizia ma, proprio per questo, la concorrenza è pazzesca. In tanti, senza nemmeno dover dire di no, ci mostrano il ramoscello di mimosa acquistato poco prima. Altri, semplicemente, ignorano ogni nostro tentativo di dissuasione nonostante ci impegniamo al massimo per dare l’impressione di essere completamente calati nella parte: vestiti sgualciti, accento straniero e cartello appeso al collo con tanto di prezzo. Altri ancora, invece, ci allontanano bruscamente facendo il paio con quelli che con un semplice “no grazie” inibiscono ogni tentativo di commercio. Pochi, pochissimi, minacciano di chiamare la polizia. Noi, comunque, decidiamo che è arrivato il momento di cambiare aria. Destinazione: Ospedale di Circolo di Varese. Qui puntiamo ad approfittare sia dei parenti di qualche degente che dei lavoratori all’uscita. Sono le 16.30 e, forse a causa dell’orario, il flusso è minore delle nostre aspettative. Non l’attenzione che ci viene riservata. Il primo a venirci incontro è infatti un vigilantes che, gentilmente, ci invita ad abbandonare l’ingresso del nosocomio. Ci indica dove piazzarci: lontano dagli occhi delle persone presenti nella hall di accesso. Così facendo, però, ci sottrae un’abbondante fetta di mercato e per cedere gli ultimi ramoscelli siamo costretti ad andare in perdita, dirigendoci verso i parcheggi più distanti: 2 euro e poche storie. Il totale parla da solo: 19 euro e 50 centesimi, più di 5 euro sotto la soglia del pareggio di bilancio e tre mazzetti invenduti. Evidentemente inesperienza e concorrenza hanno impedito il concretizzarsi degli affari “sognati”. Non il piacere di aver, in qualche modo salvato, ai compratori dell’ultim’ora la possibilità di farsi belli con le proprie metà. Quando si dice lavoro socialmente utile.

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