CAIRATE Decadenti e seducenti, violate e violabili. Sono le aree industriali dismesse disseminate sul territorio della provincia di Varese. Ci viaggeremo dentro per conoscerle. Iniziando oggi dalla Cartiera Mayer di Cairate. Visiteremo i tempi dimenticati della produttività varesina e cercheremo di raccontare la loro storia e il loro destino, offrendo uno scorcio suggestivo del loro presente, tanto desolante quanto affascinante. Ed in effetti si prova un certo brivido nel ripercorrere i passi già calcati un anno fa, quando tutta la piana, esattamente sulla mezzeria della Valle Olona, era piena zeppa di auto, furgoni e camper provenienti da tutta Europa. Oggi l’aspetto dell’area è quella di una landa desolata. La strada asfaltata che porta al depuratore non è altro che una riga nera in mezzo a campi di sterpaglie. Un paesaggio lunare eletto a palestra per suggestive lezioni di fotografia. I vecchi stabilimenti sono lì: superati il ponte l’area dell’impianto di depurazione. Le recinzioni apparentemente sono solide e invalicabili. Guardando bene, però, si nota che i buchi nella maglia metallica sono parecchi. Basta scostare qualche ramo secco e seguire le orme impresse nel terreno umido per accedere al mondo proibito che ormai un anno fa ha visto sballare migliaia di giovani in nome della cultura techno in quello che è passato alla storia come il “rave di Cairate”. Ci sono ancora i segni di quell’esperienza. Sono i graffiti tracciati sui muri, sono i pavimenti e gli ambienti ripuliti dai rifiuti, sono i grandi sacchi industriali pieni di immondizia, ordinatamente adagiati su un telo di cellophane. L’atmosfera, di giorno e senza musica, è spettrale. Il pensiero vola alle centinaia di persone che per anni in questo posto hanno lavorato. Girovagando indisturbati per gli ambienti si trova ancora la testimonianza del passato fatto di operosità: un vecchio timbratore per cartellini, le sale adibite a spogliatoio per operai ed operaie, i gradini calcati migliaia di volte, i bagni. Boschi di colonne in cemento armato sorreggono le nate di una cattedrale erette alla produttività. Spazi immensi, così grandi che è difficile immaginare quale marchingegno potessero ospitare. Volumi infiniti, lasciati a se stessi. Eppure sostanzialmente intatti. Come se qualcosa, e non il semplice declino industriale ed economico, avesse spinto ad un abbandono improvviso. Un vuoto difficile da riempire, nonostante la natura, come accade sul fondo degli abissi, stia facendo il possibile per appropriarsene rendendolo habitat. Così fa il verde. Così fanno gli uomini. I muri diventano un rifugio per i graffitari, le volte dei capannoni ricovero di sbandati e senzatetto. Niente di permanente. Ma le bottiglie di alcolici aperte, i lacci sulla rete tagliata a coprire i varchi da occhi indiscreti, sono chiari segnali di un andirivieni costante. Un viaggio in precario equilibrio, come l’idea che la struttura imponente ora dà di sé. Scale, porte, finestre e vetri in evoluzione. Un lento movimento verso il declino senza alcuna, apparente, prospettiva. Movimenti che non si curano dello storico passato della cartiera Mayer il cui scheletro ora è affare della Sogeiva Spa Varese Ambiente. Ma non bastano una sbarra da Lonate Ceppino o i mucchi di terra sulla strada per Fagnano a salvare il passato da nuove incursioni. Questo è fin troppo evidente.
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