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martedì 6 gennaio 2009

Ad Ashqelon, Sderot e Be’er Sheva sotto i Qassam. Continua il viaggio in Israele

ASHQELON “Have a quite day”, ovvero “Ti auguro un giorno tranquillo”. Così si salutano gli amici ad Ashqelon, Sderot e Be’er Sheva. Così ieri siamo stati accolti dalla popolazione. Qui, dove nonostante l’offensiva in corso nella Striscia di Gaza, i razzi Qassam (l’arma d’attacco preferita da Hamas) non hanno mai smesso di piovere. Qui, dove la gente è abituata suo malgrado a convivere con la paura, l’essenziale è il tempo. Ashqelon è a soli venti chilometri dal confine. La stessa distanza che c’è tra la Svizzera e le città di Varese e Sondrio. E per gli abitanti questo vuol dire qualcosa come 30 secondi di tempo da quando le sirene d’allarme iniziano a gridare il pericolo. A Sderot, dove i chilometri dalla Gaza Strip sono solo una decina, quelli che separano Como dal Canton Ticino, il tempo “limite” per tuffarsi nei rifugi scende a 15 secondi. A Be’er Sheva, appena sotto la soglia dei quaranta chilometri, tutto si gioca in un minuto. Ieri le sirene le abbiamo sentite risuonare per ben tre volte in meno di due ore.

La prima alla stazione centrale degli autobus di Be’er Sheva. Quando all’improvviso tutte le persone sono state fatte scendere dai mezzi di trasporto e hanno iniziato a correre al riparo della pensilina di cemento armato. Le altre due ad Ashqelon alle 13.30 e alle 14. Una ci ha sorpreso appena scesi dal pullman e qui la “salvezza” l’abbiamo cercata seguendo la folla. Tutti diretti allo spogliatoio dei dipendenti posizionato nello scantinato dell’azienda di trasporti. L’altra, invece, mentre eravamo al tavolo del “Bon Appetite”, una tavola calda del centro che ci ha immediatamente aperto le sue cucine. “Così – ci ha sorriso Noam, il padrone del locale – oltre al mio kebab avete provato anche le bombe”. Lui ci ha riso sopra. Mentre gentilmente ci apriva le porte del retrobottega è rimasto imperterrito ad arrotolare kebab e a scaldare piadine. E al segnale di cessato pericolo, mentre la gente riprendeva a mangiare e afferrava le posate dai piatti abbandonati, un nuovo sorriso tranquillizzante. “Tutto bene con il panino a parte i Qassam?”. L’abitudine, però, non basta a riempire Ashqelon. La città infatti è rimasta semideserta per tutta la giornata. Eventualità che ci è parsa chiara fin dalla nostra partenza. “Dove andate – ci ha chiesto, appena saliti sul bus, Shira che abita in un kibbutz poco fuori la città di Be’er Sheva – per vivere Israele?”. E alla nostra risposta ha sbottato: “Lì è pericoloso. State molto attenti. E speriamo che da quelle parti la vostra giornata sia migliore rispetto agli ultimi giorni”. Così si vive a ridosso della Striscia. Con i soldati che si spostano sugli autobus insieme ai pochi viaggiatori che si ostinano a spostarsi nonostante il pericolo. E i blindati che presidiano incroci e autostrade. Insieme al boato dei caccia che superano il muro del suono prima dei loro raid. Qui con le bandiere israeliane appese ad ogni lampione dell’illuminazione pubblica e gli ultra ortodossi che le distribuiscono all’uscita della statale, la guerra non è iniziata settimana scorsa. “Ci conviviamo da un po’ – raccontano i residenti – e speriamo diventi presto un ricordo”. Parole pronunciate con un occhio sempre al cielo e le gambe pronte a correre. Del resto è solo questione di secondi.

3 commenti:

Pagomad ha detto...

Intense colonne di fumo si innalzano verso il cielo sopra la città di Gaza, mentre l’offensiva israeliana contro il movimento islamico Hamas è entrata nel suo undicesimo giorno. Furiosi combattimenti hanno avuto luogo nella notte mentre carri armati israeliani sono entrati oggi poco prima dell’alba a Khan Younis, la più grande città del sud della Striscia e roccaforte del movimento islamico.

Sei militanti palestinesi sono stati uccisi nella località di Deir al-Balah, mentre tre soldati di Tsahal sono morti per «fuoco amico». Intanto cresce la preoccupazione per la grave crisi umanitaria in corso provocata da una guerra che ha fatto già circa 560 morti e oltre 2.700 feriti. Approfittando dell’oscurità e sostenuti da elicotteri da combattimento, i carri armati israeliani hanno sparato cannonate a Khan Younis, dove sarebbe asserragliato un nutrito gruppo di esponenti di Hamas. Gli uomini del movimento islamico hanno risposto al fuoco e violenti combattimenti sono ancora in corso nel quartiere di Abassan.

Intanto, scontri a fuoco si registrano anche nella zona centrale della Striscia, dove sei miliziani sono morti: secondo quanto si è appreso, le vittime erano quattro esponenti di Hamas e due della Jihad Islamica. I militanti si trovavano in una casa colpita da una granata lanciata da un carro armato israeliano durante l’offensiva terrestre in corso nella zona. Altri quattro palestinesi, inoltre, sono stati feriti da un bombardamento aereo nella località di Jabaliya, nel nord della Striscia. Tre soldati israeliani sono stati uccisi ed altri 24 sono rimasti feriti durante i combattimenti vicino alla città di Gaza. Secondo l’esercito, le vittime sono state colpite da un colpo di mortaio «vagante» sparato da un carro armato israeliano. L’ipotesi che fossero stati uccisi da una bomba nascosta da Hamas in un edificio è stata scartata dalla radio israeliana.

Il bilancio complessivo delle vittime di Tsahal dall’inizio dell’offensiva terrestre è salito così a quattro morti. La situazione umanitaria continua ad aggravarsi: scarseggiano elettricità e acqua corrente, prodotti alimentari, combustibili e medicine. Secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa, molte persone rimaste ferite perdono la vita in attesa di cure e medicamenti che non arrivano a causa dell’impossibilità per le ambulanze di avvicinarsi alle aree interessate dai combattimenti. L’alto commissariato Onu per i rifugiati ha richiesto l’apertura delle frontiere per permettere ai palestinesi che lo desiderano di lasciare Gaza.

Intanto ieri, a dispetto delle pressioni internazionali, il premier israeliano Ehud Olmert ha respinto qualsiasi ipotesi di cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza senza un’assicurazione della fine totale dei lanci di missili palestinesi contro Israele. «Non soltanto Hamas deve smettere di sparare (missili), ma non deve più essere in grado di sparare» i missili, ha dichiarato Olmert durante il suo incontro a Gerusalemme con il presidente francese Nicolas Sarkozy. «Non possiamo accettare un compromesso che permetta a Hamas di sparare (i missili) tra due mesi contro le città israeliane» ha aggiunto Olmert. «Lo scopo dell’operazione non è di mettere fine al potere di Hamas, anche se noi possiamo farlo», ha insistito il leader israeliano.

Altra Tradate ha detto...

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Pagomad ha detto...

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